venerdì 3 settembre 2010

reminescenze

Facendo un po' di pulizia tra i vecchi file del pc è saltato fuori questo piccolo testo, datato settembre 2002, all'alba della rinascita della mia amata Fiorentina.
Copio e incollo par pari:

MAGIE VIOLA
Settembre... domenica...
Una domenica come tante, eppure diversa. La domenica della rinascita.

Sono passati quindici mesi, tristi e difficili, in cui è successo il peggio di tutto; in cui abbiamo toccato il fondo e scavato ancora di più; ma adesso è giunta l'ora di risalire, finalmente è arrivato il momento di rientrare allo stadio.
I rituali di preparazione tornano a ripetersi con la stessa sequenza... jeans, scarpe da ginnastica, maglietta viola, sciarpa annodata al collo, occhiali da sole e cappellino... sono pronto.
La strada è ancora memorizzata nel cervello, il motorino va da solo. Durante il tragitto verso il Campo di Marte un groviglio di pensieri e sensazioni si rincorrono, nello stomaco e nella testa, non riesco a decifrarle. Seguo il fiume di persone che convergono tutte verso un unico punto. Oltrepasso i cancelli come un automa, un occhiata ai gadget, un cartoccio d’acqua, gesti meccanici ripetuti un’infinità di volte.
Poi la magia… mi volto a guardare la curva, la mia curva, già piena, come sempre, più di sempre. Un brivido lungo la schiena, gli occhi che brillano… sono di nuovo lì.
Credevo di aver perso l’entusiasmo del tifoso, ammazzato da un anno e mezzo di soprusi e rospi ingoiati, tribunali e facce da galera, invece lo avevo semplicemente riposto in un angolo... ma era lì, pronto a riemergere.
Ed è riemerso, bello e violento come la prima volta, in un lontano pomeriggio del ’76, il mio battesimo, il mio debutto; un ricordo ingiallito dal tempo… una Opel Kadett giallo oro che sfreccia lungo i viali, in direzione Campo di Marte... un uomo e suo figlio che vanno verso lo stadio, per un rito di iniziazione che si tramanda da una generazione all’altra… non c’è problema per parcheggiare, non ci sono vigili che ti bloccano un chilometro prima, si parcheggia nei viali circostanti, in seconda, terza o quarta fila, non c’è problema… lo stadio che sembra gigantesco, enorme… l’emozione palpabile di quella prima volta che si mescola alla gioia per la doppietta di un ragazzo biondo che gioca guardando le stelle... ricordi…

Sono passati più di venti anni ma l’emozione è ancora fortissima mentre salgo i gradoni e guardo le facce di chi, come me, è ancora lì, di nuovo presente; facce conosciute e facce nuove, riscaldate da un sole che splende alto e fa brillare il prato, quel prato verde che tante ne ha viste, che ha cresciuto tanti ragazzi sotto l’occhio vigile della torre di maratona.
Il prato… la torre… i miei riferimenti, le mie certezze, il mio posto ed il mio “amico dello stadio”. Ci siamo conosciuti qualche anno fa, in un periodo in cui i nostri sogni correvano dietro ad una criniera leonina che ondeggiava al vento e ci ritroviamo dopo un anno e mezzo di forzato esilio, ma non è una coincidenza; entrambi sapevamo, eravamo sicuri che ci saremmo ritrovati al solito posto.
Fuori dallo stadio ci frequentiamo molto di rado, per problemi logistici e soprattutto di distanza ma alla partita ci troviamo sempre insieme, in un sodalizio che dura da anni, in un’amicizia che è nata e cresciuta su quei gradoni, tra vittorie e sconfitte, in casa e in trasferta, Torino, Milano, Praga, Verona, Barcellona, Parma, Londra… Londra… Wembley… il tempio del calcio… siamo in tanti, cinquemila e forse più immortalati in una istantanea che ferma il tempo a quel giorno, a quell’ora, a quel minuto in cui Re Leone sfonda la porta avversaria… ricordi…

Sembra passato un secolo a ripensarci adesso, mentre partono i primi cori, con la voce che torna a confondersi in quel boato, in quei canti ancora impressi nella mente; le mani che accompagnano il ritmo dei tamburi. Il nostro inno cantato a squarciagola mentre i fumogeni velano il cielo terso. E poi sbucano loro, dal sottopassaggio undici ragazzi che sono lo specchio dei trentamila che li guardano, che li incitano e li applaudono, li accompagnano nel loro cammino.
Si comincia… c’è una sola squadra in campo che corre e gioca, gli altri sono solo comparse, vittime sacrificali; la maglia è bianca ma i miei occhi la vedono ancora viola, in attesa che torni ad esserlo davvero.
La guardo rapito, con gli stessi occhi del bambino di tanti anni fa che si faceva dire i nomi dei giocatori dal suo babbo... con gli stessi occhi con cui il ragazzo guardava quel ricciolino dalla faccia furba e dalle ginocchia di cristallo che prendeva palla a centrocampo, puntava dritto la porta, gli avversari come birilli, depositava la palla in rete e veniva a godersi l’applauso della curva... con gli stessi occhi che hanno visto nomi noti e meno noti e che hanno imparato a conoscerli e riconoscerli anche da lontano, solo dal fisico o da una chioma al vento.
Nomi che rimangono e rimarranno impressi nella memoria insieme a quelli, ancora sconosciuti e misteriosi che scendono in campo adesso.
Tra questi c’è un ragazzone con il numero nove sulle spalle, che salta più alto di tutti e di testa la prende sempre lui; e quando, dopo un quarto d’ora, la mette dentro e corre, le braccia al cielo, verso la curva, verso di noi, la gioia è incontenibile, come sempre, più di sempre.
La mente va indietro nel tempo, ad altri ragazzi che ci hanno fatto sognare e che ci hanno portato in alto e per un attimo sembra di esserci ancora… in alto. E forse è proprio così.
Sono passati quindici mesi e finalmente siamo rinati, siamo tornati tutti insieme a fare parte di qualcosa di bello, trascinati da una passione che ci accomuna e ci contraddistingue.
E’ cambiato il palcoscenico e sono cambiati gli attori ma il pubblico no, quello no.

Perché entrando dentro lo stadio provo ancora la stessa sensazione che provavo da bambino, mano nella mano con mio babbo, sento ancora gli stessi brividi che sentivo da ragazzo, ad ogni gol la gioia è immutata, ed è bello tornare a vivere ancora e di nuovo, tutti insieme, le stesse emozioni.

Settembre 2002
Prima domenica della rinascita

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